UN OUTSIDER: GIULIO DOUHET E L’ESERCITO ITALIANO
Maggio 2, 2022

Articolo tratto da “NACELLES – Passato e presente dell’aeronautica e dello spazio” – Edito da PUM – Presses Universitaires du Midi

 

UN OUTSIDER: GIULIO DOUHET E L’ESERCITO ITALIANO

Gregory Alegi

 

  1. Introduzione

 

Nell’estate del 1926, un comitato di revisione dell’Esercito italiano votò contro la promozione del Magg. Gen. Giulio Douhet, l’avvocato dell’aviazione. Secondo il consiglio, Douhet poteva «svolgere abilmente i doveri del suo grado» ma «non era degno di essere inserito nell’elenco degli eletti per la promozione perché non possiede eminentemente le qualità richieste per il grado di Tenente Generale». Quando il la notizia giunse a Douhet a Potenza Picena, il paesino marchigiano dove sua moglie Teresa “Gina” Casalis (1876-1960) possedeva un grande feudo, il teorico rispose all’Esercito che riteneva il rifiuto “inevitabile perché [è ] logico e obbligatorio”.

 

Logico, perché, se sono stato promosso generale, è stato contro il parere unanime del Consiglio di Promozione Superiore; obbligatorio perché il mio pensiero tecnico sulla questione della Difesa Nazionale – una posizione ben nota – è così lontano da quello che domina nell’alta gerarchia militare che non potrebbe, consapevolmente e coscienziosamente, accettarmi nel suo ovile.

 

Queste parole caustiche possono riassumere il travagliato rapporto tra Douhet e l’establishment militare italiano, culturalmente poco disposto a confrontarsi con pensatori riformisti, per non parlare di rivoluzionari. Anche prima di dedicarsi all’aviazione, da giovane ufficiale Douhet mostrò molti dei tratti che avrebbero rallentato e, alla fine, rovinato la sua carriera. Questo articolo esplora Douhet come soldato e membro dell’Esercito italiano, postulando che non fu mai pienamente accettato dalla sua organizzazione; postula inoltre che il suo ruolo di outsider fosse di ostacolo all’accettazione dei nuovi concetti da lui proposti. Concentrandosi su questa turbolenta relazione, il documento suggerisce anche perché l’Esercito fosse l’obiettivo principale della visione strategica di Douhet.

 

  1. Douhet era un soldato per vocazione?

 

Giulio Douhet nasce nel 1869 a Caserta e trascorre gran parte della sua vita in divisa. Suo padre, Giulio Douhet senior (1828-1894), farmacista dell’Esercito italiano, prestò servizio in numerosi ospedali militari e si definì “due volte italiano” per la sua decisione di rimanere in Italia quando la sua casa natale fuori Nizza fu ceduta alla Francia nel 1860. Sua madre Giacinta Battaglia (1837-?) era maestra di scuola. Nel 1882 Giulio junior si iscrisse al Collegio militare di Firenze, una delle cinque istituzioni allora esistenti in Italia. I diplomati potevano immatricolarsi nelle università italiane, ma in pratica il loro scopo principale era preparare gli studenti a frequentare le accademie degli Ufficiali, e si dice che fornissero fino a due terzi degli studenti delle Scuole di Guerra. In altre parole, Giulio sembra essersi impegnato a una carriera militare all’età di 13 anni. Perché lo abbia fatto è inspiegabile. Poiché le carte di famiglia sono andate perdute, non rimane traccia di dubbi, dibattiti, rimpianti (o addirittura gioie) legati alla decisione. L’influenza della famiglia era quasi certamente un fattore; il desiderio di ottenere una buona educazione era forse un altro. Va notato, tuttavia, che i Cadetti pagavano le tasse scolastiche. Questo fa pensare che la famiglia Douhet, potendo permettersi di mandare Giulio al Collegio militare, avrebbe avuto poche difficoltà a sostenerlo presso istituzioni civili, in particolare a Bologna, dove la famiglia allora visse e sede della prima e più antica università del mondo.

Qualunque fosse la sua motivazione, Douhet era indubbiamente uno studente brillante e devoto che si diplomò tra i migliori della sua classe al Collegio e all’Accademia Militare, l’istituto selettivo di Torino che addestrava Ufficiali di artiglieria e ingegneria. Ancora una volta, non si sa nulla delle materie o degli insegnanti preferiti, ammesso che ce ne siano stati. Nel 1890 Douhet risultò terzo su 53 Luogotenenti di artiglieria che completarono la Scuola di Applicazione, l’istituto post-laurea che forniva istruzione specifica per il ramo di servizio prescelto. Douhet, tuttavia, non si è distinto in doveri strettamente militari.

Nel suo primo incarico come Tenente nel 5° Reggimento di Artiglieria, Douhet si è comportato bene sotto molti aspetti, ma ha saltato le “escursioni in montagna” del 1892 e del 1893 per motivi di salute non specificati, il che ha portato il Consiglio di Reggimento a valutarlo come più adatto all’Artiglieria da campo o a una scuola militare. Douhet scelse quest’ultima, ma fu invece assegnato all’11° Reggimento Artiglieria da Campo ad Alessandria, dove trascorse un anno poco brillante impressionando i suoi superiori con la sua “mancanza di slancio e di iniziativa”.

All’inizio del 1895 Douhet tornò al 5° Artiglieria, dove studiò abbastanza duramente da superare il temuto esame per la Scuola di Guerra al primo tentativo; ha poi provveduto a completare il triennio, piazzandosi sesto su 49 studenti. Nel 1900 Douhet completò un corso avanzato di elettrotecnica al Museo Industriale di Torino e fu promosso Capitano. Con queste premesse, a Douhet era più o meno assicurato un chiaro percorso professionale.

Nel 1904, tuttavia, era già alla ricerca di altre opportunità, tra cui, con caratteristica lungimiranza, la creazione di una testata giornalistica cinematografica basata su apparecchiature progettate e costruite da lui stesso. Per promuovere questa idea, nell’aprile del 1904 Douhet impiegò tre mesi di congedo, che trascorse a Londra cercando di finalizzare le trattative preliminari che aveva avviato da tempo. L’affare fallisce ma è significativo come prima attestazione di Douhet che pensa di lasciare l’Esercito.

Nel 1910, divenuto Maggiore, fu nominato al Comando del Battaglione Ciclisti, di nuova costituzione all’interno del 2° Reggimento Bersaglieri, a Roma. A differenza di molti colleghi, Douhet non colse al volo l’opportunità di combattere in Libia durante la guerra italo-turca. Con l’avvicinarsi della fine del suo tour, tentò di nuovo di tornare al mondo accademico preparandosi a sostenere l’esame per insegnare alla Scuola di Guerra senza riuscirvi.

Il 1 luglio 1912 Douhet fu assegnato al neonato Battaglione Aviatori, prima come Vice Comandante del Ten. Col. Vittorio Cordero di Montezemolo, poi come Comandante interinale e infine come Comandante. Douhet non comandò mai Unità sul campo durante la 1^ Guerra Mondiale; prestò invece servizio come Capo di Stato Maggiore prima con la 5a Divisione (1915) e poi con il 12° Corpo d’Armata (1916). Ciò era apparentemente dovuto al fatto che il Reggimento che era stato selezionato per guidare non era stato formato. Tuttavia, nel marzo 1916 Douhet arrivò al punto di redigere una lettera al Comandante del 12° Corpo d’Armata, il Gen. Clemente Lequio, in cui chiedeva di non essere preso in considerazione per la promozione a Generale di Brigata perché sentiva che un comando operativo gli avrebbe richiesto di promuovere attivamente la visione del Comando Supremo e il modello di leadership che non condivideva.

A tutti gli effetti, la carriera militare di Douhet terminò nel tardo pomeriggio del 16 settembre 1916, quando ammise di essere l’autore del memorandum del 21 agosto non firmato che avvertiva il ministro Leonida Bissolati delle illusorie conquiste apportate dalla conquista di Gorizia. Il  Gen. Dino Della Noce, Capo del Dipartimento Disciplina del Comando Supremo, arrestò il  Douhet con un’accusa che avrebbe potuto portarlo alla pena di morte. L’arresto sfociò in un rapido susseguirsi di processi, condanne e ricorsi (14-15 ottobre, in primo grado; 25 novembre, Cassazione; 21 dicembre, Supremo Tribunale di Guerra e della Marina). Il Ten. Col. Douhet fu infine incarcerato per circa nove mesi a Fenestrelle, la gelida prigione militare originariamente costruita dai Savoia per bloccare la Val Chisone e prevenire le invasioni francesi.

  1. L’insider recalcitrante

La drammatica crisi del “Memorandum Bissolati” è stata solo l’ultima di una serie di indiscrezioni e scontri con l’autorità che risalgono proprio all’inizio della carriera di Douhet. Il tratto comune a questi eventi sembra essere la riluttanza ad accettare decisioni contrarie, che Douhet manifestò per la prima volta nel 1901. Mentre prestava servizio con il 6° Reggimento Artiglieria da Campo a Vigevano, il Capitano Douhet tenne la lezione “Una visione militare dell’automobilismo” , in cui proponeva un “autotreno” a propulsione elettrica per spostare truppe, armamenti e rifornimenti in quantità laddove le ferrovie non fossero disponibili. La conferenza fu apparentemente ben accolta, tanto che Douhet la sottopose per la pubblicazione sulla prestigiosa Rivista di Artiglieria e Genio. Il giornale rifiutò, sostenendo che esperimenti condotti in Francia sulla stessa linea avevano prodotto scarsi risultati e aggiungendo diverse obiezioni tecniche, inclusa la sottovalutazione delle perdite di potenza in vari punti del sistema. Douhet si rivolse quindi all’Associazione Elettrotecnica Italiana (AEI), ripeté la conferenza a Torino e la fece pubblicare sul suo giornale. Il paper divenne infine un breve libro e generò una versione francese di dieci pagine di G. Clément, ​​molto probabilmente uno pseudonimo dello stesso Douhet.

Nel 1905 Douhet si lamentò di essere stato costretto a combattere «semplicemente per far pubblicare [la conferenza]», ma l’episodio è interessante soprattutto in quanto sembra stabilire quello che sarebbe diventato un modello per Douhet: una forte affermazione di un’idea ancora imperfetta, rifiuto privato da parte delle strutture ufficiali, nuovo tentativo attraverso canali non ufficiali, critica pubblica da parte di altri esperti, reazione feroce.

Ciò fu molto evidente nello sviluppo del bombardiere trimotore più tardi noto come Ca.3. Alla ricerca di un velivolo più pesante dell’aria con portata, carico utile e affidabilità paragonabili a quelli di velivoli più leggeri dell’aria, Douhet menzionò per la prima volta la necessità per un «nuovo velivolo extra potente per combattere i dirigibili» a Gianni Caproni il 21 aprile 1913. Pochi mesi dopo, dopo aver resistito a un piccolo temporale per aver raccomandato all’Esercito di acquisire le officine Caproni, Douhet incaricò il nuovo reparto sperimentale del Battaglione Aviatori di esplorare nuovi progetti. Tra questi un “trimotore con grande capacità di carico (1.500 kg di carico a disposizione)”,  intrapreso “con il prezioso contributo dell’Ing. Caproni».  Il progetto preliminare fu completato entro il 27 gennaio 1914 e Douhet, ora al comando del Battaglione, chiese 15.000 lire per costruire il prototipo. Il Col. Mario Maurizio Moris, Capo dell’Aviazione dell’Esercito,  concesse l’approvazione tre settimane dopo. La costruzione iniziò sul serio, ma le cose presero una piega diversa quando le autorità capirono che il progetto avrebbe inferto un duro colpo ai dirigibili e segnato punti per Douhet nel dibattito più leggero contro più pesante dell’aria. Secondo Caproni

Moris sembrerebbe voler ritirare l’autorizzazione concessa non intendendo più costruire il 300 HP [aereo]. Questo principalmente per bloccare Douhet. Douhet consiglia di correre a Roma e di fare rumore. Moris, se uno grida, cede. Questa opposizione è causata anche dal fatto che i grandi aerei, lungi dall’essere “figli di una mente malata”, funzionano bene e uccidono i dirigibili.

Questa ostilità latente rallentò il lavoro. La scelta del motore è rimasta controversa anche dopo che il capitano Ottavio Ricaldoni ha chiesto a Caproni di abbandonare l’ingombrante disposizione degli ingranaggi prevista per  una trasmissione diretta molto più semplice. Il problema si risolse solo ad agosto, quando Douhet incaricò Caproni di installare un singolo Gnome da 100 HP e due  da 80 HP tratti dai pezzi di ricambio del Battaglione. Il trimotore  volò finalmente il 20 novembre 1914, per coincidenza, lo stesso giorno in cui Moris presentò al Ministero della Guerra un programma di aviazione basato su Blériot XI, Farman MF.14, Caproni Parasols, e gli sconosciuti Nieuports e Voisins sconosciuti. I test iniziali rivelarono buone prestazioni per gli standard dell’epoca, ma non c’era alcun requisito militare per il “300 HP”, come allora veniva chiamato il grande velivolo. Il successo tecnico portò quindi a un nuovo scontro sulla produzione. Arturo Mercanti, l’automobilista pioniere che aveva, tra l’altro, creato sia la Mille Miglia che il Brescia Air Circuit, aveva assistito a un primo test e ne aveva subito compreso il potenziale. Ciò indusse il Mercanti a cercare investitori per dar vita ad una società finalizzata alla costruzione del bombardiere. Fu organizzata una dimostrazione per il commendatore Alberto Johnson, direttore generale del Touring Club e per i senatori Giuseppe Colombo e Carlo Esterle, entrambi importanti industriali.  

Un articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 9 dicembre dette  il via a un accanito scontro sulla divulgazione di segreti militari, interessi industriali e raggiro della gerarchia militare. Nel giro di pochi giorni si vociferò che il Colonnello Giuseppe Buffa avrebbe sostituito Douhet come Comandante di Battaglione. Con Douhet fuori dai piedi, il 26 dicembre 1914 Mercanti estorse a Moris e Buffa l’impegno di acquistare 12 trimotori dalla sua squadra industriale ancora inesistente, proponendo di costruirli nelle officine militari di Vizzola, Cameri e Taliedo ad un prezzo unitario di 135.000 lire. Nel frattempo Douhet era stato informato che sarebbe diventato Capo di Stato Maggiore di Divisione a Cagliari, Catanzaro o Chieti, poi modificato in Ancona, forse considerato per lui più appetibile essendo a soli 40 chilometri da Potenza Picena. Il trasferimento indusse Douhet a rassegnare le dimissioni dall’Esercito, per poi ritirarle e ripresentarle.  A metà febbraio la destinazione divenne Milano, con due mesi di permesso per raffreddare gli animi.

L’episodio derivava senza dubbio dalla lunga faida tra Moris e Douhet sul ruolo dei dirigibili ed ha risentito della gestione brusca della faccenda da parte di Douhet e della precoce intromissione di interessi commerciali. Il caso Caproni ebbe conseguenze permanenti per Douhet, spingendolo fuori dal nascente mondo dell’aviazione che stava contribuendo a plasmare con passione e visione. Dal punto di vista dell’aviazione, questo addio ha trasformato l’insider recalcitrante in un estraneo rumoroso.

 

  1. L’outsider rumoroso

A tutti gli effetti il ​​caso Caproni segnò la fine del ruolo attivo di Douhet nell’Aviazione militare al punto che, dal punto di vista psicologico, le sue innumerevoli richieste per essere reintegrato come Capo dell’Aviazione potrebbero essere lette come la ricerca di un ritorno alla perduta età dell’oro. In una certa misura, questa ambizione fu bloccata da un’ostilità diffusa e da una famigerata reputazione. A sua volta, questo diede inizio ad una catena di eventi che alla fine portarono alla vicenda Bissolati.

Per tutto il 1915-17, Douhet continuò a rimuginare su questioni aeronautiche, inviando proposte alle autorità militari attraverso la sua catena di comando ma anche perseguendo percorsi alternativi attraverso i suoi contatti sociali, industriali e politici, agendo essenzialmente sia come insider che come outsider, senza risultati apprezzabilmente diversi. La condanna per l’affare Bissolati non fermò questo interesse, ma spostò saldamente Douhet nella categoria degli outsider. Infatti, il teorico concepì e scrisse il suo primo piano per un’offensiva aerea strategica nel giugno 1917, mentre era incarcerato a Fenestrelle. Intitolato La grande offensiva aerea e pieno di calcoli dettagliati, richiedeva all’Intesa di colpire la Germania con una massiccia flotta di bombardieri. Sorprendentemente, il piano fu inoltrato al Comando Supremo. All’inizio di agosto Cadorna lo rifiutò, sostenendo sensatamente che la capacità industriale non era sufficiente per costruire l’enorme numero di grandi aerei di cui aveva bisogno. Questa osservazione di buon senso rifletteva il cambiamento radicale che la guerra aveva portato nell’aviazione e mostrava quanto velocemente l’esperto di aviazione dell’anteguerra si era trasformato in un ingenuo outsider. Sia che ci si riferisse alle dimensioni, all’organizzazione, alla tecnologia o alla dottrina, la fase embrionale dell’aviazione militare nel 1912-14 consentiva agli individui di ricoprire ruoli sproporzionati in ogni aspetto senza esperienza o formazione specifica. L’esperienza in tempo di guerra ha ampliato e trasformato l’aviazione, rendendo tali concentrazioni di conoscenza e potere praticamente impossibili. 

Il colonnello Douhet lo apprese a sue spese quando, in seguito alla rimozione di Cadorna come capro espiatorio per il disastro di Caporetto, tornò brevemente all’Aviazione nell’autunno 1917-18 come Direttore Centrale dell’Aeronautica (DCA). Questo non fu affatto un amichevole ritorno a casa. Come scoprì Luigi Albertini quando incontrò Angelo Gatti al Comando Supremo a metà novembre 1917, gli Ufficiali dell’aviazione non accettavano la nomina di Douhet. Ma l’opposizione alla fine fu vinta. Come DCA, Douhet affrontò con grande energia il guasto del velivolo da ricognizione SIA 7 e redasse interessanti requisiti di produzione per il 1919. Ma scoprì anche che la situazione critica post-Caporetto rendeva impossibile cambiare le priorità industriali e che due anni di intense operazioni avevano in gran parte spostato il dibattito dai concetti teorici alle pressanti considerazioni pratiche. Crescendo in gran parte la sua frustrazione per l’incapacità di influenzare la strategia, Douhet si dimise il 4 giugno 1918. Sebbene l’amnistia del dopoguerra avrebbe cancellato gli esiti della vicenda Bissolati e aperto la strada alla sua promozione al grado di Generale, Douhet non avrebbe mai più visto il servizio attivo, tanto meno in Aviazione.

Outsider nel senso letterale del termine, Douhet, come in altri momenti critici della sua vita, si rifugia nella scrittura. Nel  suo “Come finì la Grande Guerra – La vittoria alata”  a metà strada tra storia alternativa e technothriller, immagina che l’Intesa causi il crollo del morale tedesco attraverso massicci attacchi aerei alle città tedesche, ponendo fine bruscamente alla guerra. Il romanzo aveva lo scopo di spostare il dibattito sula potere aereo verso un pubblico ampio e non tecnico, con l’evidente intento di fare pressione sui militari affinché ripensino le proprie strategie. Sebbene l’approccio non sia mai stato messo alla prova perché la guerra finì prima della pubblicazione, non è difficile considerare la persuasione mediante la comunicazione come il tentativo alquanto disperato di un estraneo irrequieto. In ogni caso, “Come finì la Grande Guerra” non raggiunse mai  il pubblico previsto. Come la maggior parte delle opere di Douhet di quest’epoca, fu stampato piuttosto che pubblicato ed è difficile accertarne la circolazione effettiva. Douhet probabilmente ne era fin troppo consapevole, almeno a giudicare dagli sforzi per pubblicizzare i suoi libri. Più volte chiese a D’Annunzio, senza successo, di scrivere una prefazione per “Come finì la Grande Guerra”, e suggerì ad Attilio Longoni di pubblicare a puntate “Il dominio dell’aria” sulla focosa Gazzetta dell’aviazione. Evidentemente, Douhet riteneva che la pubblicazione da parte del Ministero della Guerra, operata dallo stesso ministro Pietro Lanza di Scalea, non garantisse di per sé l’accettazione del suo nuovo libro da parte della comunità militare.

Il divario tra la creatività e la capacità di Douhet di costruire organizzazioni è esemplificato al meglio dal suo fallito tentativo postbellico di creare un movimento politico, l’Unione Nazionale Ufficiali e Soldati (UNUS). Nel marzo 1919 UNUS lanciò “Il Dovere”, un settimanale scritto, curato e in gran parte finanziato da Douhet. Il tabloid si impegnò in accese battaglie che fecero ben poco per riparare i rapporti con l’establishment militare. Fin dall’inizio, “Il Dovere”  riferì e commentò l’operato della commissione d’inchiesta di Caporetto, denunciando il tentativo di incolpare il Gen. Cavaciocchi e di aver fatto saltare i politici per non aver rimosso Cadorna e fermato il suo sanguinoso approccio.  A luglio il giornale lanciò l’idea di un monumento  al Milite Ignoto, avviando così le vicende che avrebbero portato alla sua solenne inaugurazione a Roma il 4 novembre 1921. Nonostante le sue infuocate campagne, “Il Dovere” ebbe un’esistenza piuttosto  precaria. A differenza di Mussolini con il fascismo, Douhet  antepose la sua agenda personale alle pressanti questioni sociali ed economiche sentite dai veterani di base, la cui diffusa infelicità non riuscì mai a intercettare. Dopo aver ridotto il numero di pagine e le sue pubblicazioni, la rivista crollò nel dicembre 1921 e UNUS scomparve silenziosamente. Questo suggellò le ambizioni politiche di Douhet.

Douhet rimase un outsider anche quando spostò il suo approccio dallo sviluppo di una forza aerea strategica all’ampio ripensamento dell’organizzazione della difesa italiana, argomento molto dibattuto nei primi anni ’20, in particolare in termini di struttura dell’esercito.  Il libro generalmente dimenticato “La Difesa Nazionale” è un esempio calzante: l’edizione originale del 1923 fu un tentativo di inquadrare la sua proposta di “Armata aerea indipendente” in termini di priorità di difesa nazionale, con un impatto diretto sulla discussione in corso sulla riforma dell’Esercito.  L’opuscolo fu recensito da “La nuova politica liberale”, un giornale che rientrava a pieno titolo nel campo del filosofo Giovanni Gentile, ma quando ormai il dibattito sulla struttura dell’Esercito si era concluso. Due anni dopo, Douhet riutilizzò il titolo per una pubblicazione molto più breve destinata a suscitare interesse per un settimanale illustrato dal titolo simile che mirava a discutere di questioni militari, difendere “tutti gli interessi nazionali” e sostenere le imprese della difesa. Il progetto aveva ricevuto l’approvazione del segretario del Partito Nazionale Fascista (PNF) Roberto Farinacci, la cui lettera di sostegno fu debitamente stampata nell’opuscolo, ma è significativo il fatto che l’indirizzo di contatto fornito per la rivista fosse la residenza di Douhet. Il tentativo di cercare il favore delle parti per superare l’opposizione militare fu evidente anche nella sua collaborazione con l’Istituto Nazionale Fascista di Cultura (INFC), ente creato dal PNF e presieduto da Gentile. Douhet si distinse per essere l’unico trai soli tre membri del primo consiglio dell’INFC che non provenisse né dal mondo accademico né dalla politica. Scrivendo per la rivista INFC “L’educazione nazionale”, Douhet ha descritto la difesa nazionale come un campo che i politici senza conoscenze specifiche lasciavano ai burocrati militari ossessionati dai problemi di segretezza e convinti che il rango garantisse la verità.  Paragonando implicitamente se stesso a Napoleone, Douhet arrivò a scrivere che se il generale francese «si fosse trovato incanalato negli angusti confini di una moderna gerarchia militare, molto probabilmente avrebbe corso il rischio di essere andato in pensione per motivi di età da Tenente Colonnello, dopo essere stato dichiarato, da qualche consiglio di promozione, non idoneo a più alto grado, se non altro per il suo carattere».

Quando il progetto “Difesa nazionale” fallì, Douhet donò all’INFC 17.894,80 lire, somma la cui enormità si comprende meglio se confrontata con abbonamenti a giornali (quasi 450 volte l’iscrizione annuale all’“Educazione fascista”), stipendi (nove mesi di stipendio di un Maggiore Generale) o addirittura al sostegno governativo (quasi il doppio del finanziamento iniziale concesso da Mussolini all’INFC). Abbracciare l’INFC non ha aiutato Douhet a superare la sconfitta di Farinacci nella lotta per il potere del PNF: estromesso dal consiglio dell’INFC, era ancora una volta un outsider. La decisione del 1926 di non assegnare a Douhet l’ambita terza stella, un grado in gran parte onorifico dato che non era più in servizio attivo, derivava, confermava e alimentava immediatamente il suo status di chiassoso outsider.

Douhet era stato nominato Generale di Brigata nel 1922, un anno dopo aver pubblicato “Il dominio dell’aria”, e aveva ricevuto la sua seconda stella nel 1925. Nessuna delle due promozioni è stata seguito dal ritorno in servizio attivo. Poiché la nuova promozione sarebbe stata ugualmente simbolica, ciò che ha reso il veto del Consiglio così doloroso per Douhet è stato che ha certificato la sua esclusione dal più alto livello di carriera. In tutta franchezza, il teorico del potere aereo non è stato l’unico ufficiale a cui è stata negata la promozione. La stessa riunione del Consiglio giunse a conclusioni simili con altri 24 Generali, tra cui l’ex Comandante di Douhet, Cordero di Montezemolo, e il Generale di Brigata Emilio Giampietro, che nel 1922 avevano preso parte alla “Marcia su Roma” che portò al potere il fascismo. I non promossi sono stati posti in Aspettativa per Riduzione Quadri, ovvero sono stati concessi assenze, con retribuzione, fino al raggiungimento dell’età pensionabile prescritta. Dopo 44 anni in uniforme, Douhet era ufficialmente fuori dall’esercito.

 

  1. Fuori dall’Aeronautica

Quando Mussolini, dopo la “Marcia su Roma”, decise di stabilizzare l’aviazione, affidò inizialmente a Douhet la carica di Sottosegretario all’Aeronautica Civile in un Commissariato per l’Aeronautica di nuova costituzione. La nomina durò dal 31 ottobre all’11 novembre, quando l’Esercito si oppose e riuscì a farla revocare. Il Governo prese quindi in considerazione la creazione all’interno del Ministero della Guerra di due Direzioni generali, rispettivamente per le operazioni e gli appalti, con la prima gestita da Douhet per preparare l’Aviazione dell’Esercito indipendente e addestrare e supervisionare le unità aeree per “gli altri ministeri”. Questo accordo fallì per l’opposizione della Marina. Mussolini alla fine creò il Commissariato per l’Aeronautica il 24 gennaio 1923 e la Regia Aeronautica il 28 marzo, ma non nominò mai Douhet ad alcun incarico nella nuova organizzazione. Piegandosi alle pressioni, scelse il Generale di Brigata Pier Ruggiero Piccio come primo Comandante Generale del nuovo servizio.

Secondo una storia forse apocrifa raccontata da Carlo De Biase, Badoglio avrebbe reagito alla pubblicazione de “La difesa nazionale” descrivendo Douhet a Mussolini come «un pazzo» e sottolineando la sua convinzione in tempo di guerra. Che l’aneddoto sia vero o no, non è affatto sorprendente che la Regia Aeronautica, fortemente dominata dall’Esercito, abbia ereditato la sua percezione di Douhet come un rumoroso piantagrane, assicurando che non ci sarebbe posto per lui in nessuna delle due organizzazioni. Ciò è stato ottenuto, in primo luogo, non trasferendo Douhet dalla riserva dell’Esercito alla riserva dell’Aeronautica; il meccanismo fu spesso utilizzato in quegli anni per rafforzare il nuovo servizio, in particolare con gli aviatori congedati dopo la Grande Guerra. Poiché Douhet aveva più anzianità di servizio rispetto alle gerarchie della Regia Aeronautica, tenerlo fuori dalla riserva dell’Aeronautica garantiva che non avrebbe mai potuto superare gli altri Generali in servizio qualora fosse richiamato in servizio attivo. Nel corso degli anni, Douhet avrebbe fatto frequenti tentativi di entrare, ma ogni volta veniva respinto. Nel giugno del 1924, quando il Viice Commissario per l’Aeronautica Aldo Finzi fu licenziato per il suo ruolo ambiguo nell’affare Matteotti, Douhet tentò di sostituirlo. L’incarico passò al Magg. Gen. Alberto Bonzani. Due anni dopo, Douhet stava ancora cercando di ottenere l’appoggio di Gabriele D’Annunzio per cacciare Bonzani e, presumibilmente, prendere il suo posto.

La struttura delle forze è forse l’indicatore più forte del fatto che Douhet e le sue idee siano rimasti “fuori” dalla pianificazione e dal pensiero della Regia Aeronautica. Il programma di aviazione del 1923 preparato da Riccardo Moizo in qualità di Direttore Generale dell’Aviazione militare specificava chiaramente che la Regia Aeronautica avrebbe svolto in primo luogo compiti ausiliari dell’Esercito e della Marina (in particolare in termini di ricognizione), difesa costiera e polizia coloniale. L’Aeronautica Militare indipendente (o strategica) è stata rimandata a un momento successivo, affermando esplicitamente che nel budget “è rimasto poco margine per l’aviazione indipendente – senza escludere la formazione di un nucleo iniziale”. Questa posizione spinse Douhet ad avvertire che la nuova Regia Aeronautica non era ciò per cui aveva combattuto.

 

Ora, per quel senso di serietà che impone di dare a Cesare ciò che gli è dovuto, devo dire che, nonostante l’apparenza esteriore, la R. Aeronautica, come previsto dai recenti decreti, è ancora più lontana da ciò che ho sempre auspicato che l’organizzazione precedente dovesse essere […]. I tipi di unità – alla fine della quale compare un gruppo di aeronavi – puntano a un concetto di guerra simile a quello avvenuto nella guerra passata. Ora credo che la Grande Guerra abbia visto solo una disordinata guerriglia aerea mentre il futuro vedrà una vera guerra aerea, che richiede masse piuttosto che specializzazioni. La presente organizzazione è quindi, sia nelle sue linee generali che nei dettagli specifici, e particolarmente nei concetti sottostanti, agli antipodi delle mie idee. E volevo dirlo solo per affermare un fatto.

 

Il pregiudizio contro Douhet si estendeva ai suoi scritti. Nel 1923 “Il dominio dell’aria” e “La difesa nazionale” entrarono nella rosa dei candidati stilata dal Comando generale della Regia Aeronautica per le biblioteche di unità, ma furono respinti dalle unità stesse. Mentre infuriava il dibattito intellettuale sul potere aereo, Rivista Aeronautica, il mensile ufficiale dell’Aeronautica Militare, inizialmente ignorò Douhet, i suoi libri o le sue idee. Mentre il sostenitore dei bombardamenti tattici Amedeo Mecozzi fu prontamente accettato nelle sue pagine, Douhet fu menzionato per la prima volta nel giugno 1926 (e in una nota a piè di pagina) e la prima discussione completa del suo pensiero arrivò solo un anno dopo. Il suo primo articolo firmato seguì in dicembre 1927, accompagnata da una nota in cui il Col. Aurelio Liotta lodava subito Douhet e sottolineava che la Rivista Aeronautica pubblicava anche «scritti che sposano idee che non sempre corrispondono a quelle condivise dalla maggior parte di coloro che studiano l’uso degli aerei». Questo cambiamento fu operato dal Balbo. Nominato Sottosegretario all’Aeronautica il 6 novembre 1926 in sostituzione di Bonzani, Balbo probabilmente considerava Douhet una delle principali sfide da affrontare nel nuovo ufficio, doppiamente dopo aver ricevuto una nota bellicosa dallo stratega. In larga misura, Balbo affrontò con Douhet la stessa alternativa che Lyndon B. Johnson avrebbe poi affrontato con J. Edgar Hoover – e come lui, ha ragionato che “Beh, probabilmente è meglio averlo dentro la tenda a pisciare fuori, che fuori a pisciare dentro”. I due uomini erano per quanto diversi potevano essere: il generale 57enne aveva ricevuto 11 anni di educazione militare strutturata e avrebbe potuto essere il padre del rivoluzionario 30enne nominato Sottotenente dopo alcuni mesi di addestramento; ma d’altra parte l’illustre teorico non aveva mai assistito al combattimento, non aveva mai pensato di diventare pilota e di rado volato, mentre il grande organizzatore era un combattente decorato, si divertiva ad usare gli aerei insieme al suo ufficio e pensava all’addestramento al volo. La differenza principale risiedeva probabilmente nel loro rapporto con la politica. Douhet era l’outsider che corteggiava spudoratamente coloro che erano al potere per raggiungere obiettivi personali; Balbo è stato l’insider che ha plasmato la politica con un forte senso di lealtà al partito che aveva aiutato a salire al potere. Forse è stata proprio questa differenza a rendere possibile il raggiungimento di un accordo reciprocamente gradevole, perché anche l’ingenuo politico Douhet deve aver capito chiaramente che non c’era praticamente alcuna possibilità di rovesciare una figura politica nazionale. D’altra parte, Balbo intuì correttamente che Douhet desiderava ardentemente il riconoscimento per il suo ruolo di profeta dell’aviazione. Dandogli libero sfogo per scrivere sul giornale ufficiale della Regia Aeronautica, Balbo riuscì a reindirizzare la logica di Douhet contro coloro che ancora si opponevano all’esistenza stessa della neonata Aeronautica. In cambio di rimanere fermamente fuori dal regno politico e decisionale, Douhet avrebbe potuto indicare i suoi articoli nelle pubblicazioni ufficiali come rivendicazione della sua visione e, per estensione, come condanna per i suoi numerosi critici e oppositori. Forse non è un caso che dopo il 1926 non vi sia traccia di ulteriori tentativi da parte di Douhet di assumere un ruolo di leadership.

 

  1. Conclusioni

Il duraturo fascino intellettuale per le sue ampie, seppur semplicistiche, pretese di supremazia del potere aereo ha portato a una percezione altrettanto esagerata e semplicistica dell’influenza esercitata da Douhet sull’Esercito italiano in generale e sull’Aviazione in particolare. Nonostante la sua necessaria brevità, la nostra analisi suggerisce che Douhet avesse un rapporto per lo più scomodo con l’Esercito e che si irritasse per i limiti che il servizio militare imponeva al suo pensiero e alla sua capacità di influenzare la politica. Mentre Douhet godette di una promettente carriera all’inizio, bisogna porsi la domanda sulle sue prospettive a lungo termine in un Esercito in cui l’aristocrazia e le connessioni sociali prevalevano sulla luminosità e sul rendimento scolastico. De Rossi attesta la convinzione diffusa che gli Ufficiali di Stato Maggiore dovessero essere “nobili, biondi e artiglieri”. Per quanto questo fosse vero, Douhet possedeva solo il terzo requisito. Il suo matrimonio con Gina compensava in parte le sue piccole origini borghesi. Suo padre Bartolomeo Casalis (1825-1903) era stato un personaggio di rilievo risorgimentale. I suoi stretti legami con il futuro ministro delle Finanze Quintino Sella, l’ambasciatore Costantino Nigra (con il quale Casalis condivideva l’appartenenza all’influente loggia massonica Ausonia) e il giornalista Giovan Battista Bottero, si sono tradotti in una carriera di 30 anni prima come prefetto e poi Direttore di Pubblica Sicurezza presso Ministero dell’Interno (1885-1888). Ma Giulio e Gina si sposarono solo nel 1905, due anni dopo la morte di Bartolomeo. Se questo indichi che il paterfamilias non approvasse pienamente la loro relazione è una questione di speculazione; ma è indiscutibile che tali contatti di un’era politica precedente non si trasferirono automaticamente a Douhet o al suo tempo. Allo stesso tempo, non c’è dubbio che Gina portasse ricchezza al di là di quanto Giulio avrebbe mai potuto ottenere con lo stipendio dell’Esercito, soprattutto considerando gli obblighi sociali che derivavano dai ranghi più alti; in effetti, il maggiore Douhet lo aveva sottolineato nella sua domanda del 1912 come Addetto militare presso l’Ambasciata italiana a Parigi, incarico che non ottenne. Forse ancora più importante, le risorse di Gina significavano che Giulio non dipendeva più dal suo stipendio e dalla sua carriera nell’Esercito. È probabile, anche se impossibile da dimostrare, che questo nuovo status abbia cambiato la sua prospettiva e incoraggiato la sua latente opposizione a ciò che non irragionevolmente considerava conservatorismo militare. Paradossalmente, il matrimonio che ha aiutato Douhet a superare il suo limitato status sociale potrebbe essere stato il primo passo per diventare un outsider. Tentando di creare un movimento politico e corteggiando il sostegno del PNF, Douhet ha chiarito dolorosamente la sua posizione di essere al di fuori – anzi, osteggiato – dalla struttura e dalla gerarchia dell’Esercito. A causa di una combinazione di fattori che vanno da una personalità abrasiva a una limitata consapevolezza della situazione, questo approccio, che in termini militari potrebbe essere descritto come una manovra lungo linee esterne, fallì miseramente. A sua volta, la non accettazione ha creato un circolo vizioso che ha portato Douhet a fare affermazioni sempre più stravaganti e ha ulteriormente ridotto la sua capacità di influenzare la politica. La situazione non fu migliorata dalla creazione della Regia Aeronautica, che rimase sotto forte influenza dell’Esercito. Mentre si può giustamente sostenere che Douhet ha cessato di essere un outsider della Regia Aeronautica quando è diventato un collaboratore frequente della Rivista Aeronautica, il vigoroso dibattito che ha seguito ogni articolo suggerisce che l’ospitalità non equivaleva all’accettazione senza riserve o, tanto meno, alla sanzione ufficiale della sua dottrina. A Douhet probabilmente piaceva il suo nuovo ruolo di padre della teoria del potere aereo, ma dovette rimuovere tutti i riferimenti alla Regia Aeronautica, in termini di persone, equipaggiamento o politica. Il compromesso Balbo non ha, infatti, fatto del douhetismo il principio guida dell’Aeronautica Militare Italiana. Fatta eccezione per le tiepide valutazioni dei prototipi di bombardieri pesanti da parte della 62a Squadriglia, l’accordo martellato dall’Esercito e dalla Marina alla fine del 1922 assicurò che la maggior parte della forza dell’Aeronautica rimanesse dedicata ai compiti di supporto dell’Esercito e della Marina. 

Douhet rimase un outsider anche dopo la sua morte nel 1930. Sebbene i suoi scritti avessero acceso il dibattito sul ruolo della forza aerea nella difesa nazionale, non ebbero mai successo commerciale. L’antologia del 1931 “Le profezie di Cassandra”, iniziata da Douhet ma completata dall’amico Gherardo Pàntano, fu sovvenzionata da Gina, così come probabilmente un’altra antologia, “La guerra integrale”, preparata da Emilio Canevari e pubblicata nel 1936. Al momento non si sa nulla delle circostanze dell’edizione del 1932 de “Il dominio dell’aria”, pubblicata da Mondadori in un volume con alcuni altri scritti Balbo contribuì con prefazioni alle raccolte di Douhet, ma in generale si limitò a riconoscere il primo interesse di Douhet per la guerra aerea. Nel 1931 Balbo, annunciando la sua intenzione di condurre grandi manovre aeronautiche, sottolineava la necessità di «formarsi idee più chiare di quelle proclamate dai tanti che scrivono di aviazione militare e che sono state dibattute per molti anni con grande dialettica, ma non supportate da esperienza”. Nella prefazione del 1932 Balbo sottolineava che Douhet aveva solo “abbozzato” le questioni e lamentava che “purtroppo c’è ancora solo un interesse limitato per questi studi”. Nel 1936 andò anche oltre, scrivendo che «Le generalizzazioni non sono possibili: la guerra aerea in senso proprio non può essere applicata sempre e ovunque e in ogni circostanza: è assoluta solo nei conflitti tra paesi con mezzi moderni». Nel 1938 la sua voce “Guerra aerea” per il volume di aggiornamento dell’Enciclopedia Italiana era similmente sfumata. Altre figure di spicco dell’Aeronautica Militare parlarono diversamente: nel 1938 il tenente generale Francesco Pricolo individuò nel “terrore” il principale armamento delle forze aeree.60 Ma la retorica raccontava solo una parte della storia. I cinque piani di espansione della Regia Aeronautica elaborati tra giugno 1937-novembre 1939 non prevedevano mai più di 12 bombardieri pesanti (due squadroni), pari all’1,2-1,6 per cento della forza dei bombardieri e allo 0,54-0,4 per cento del totale della Regia Aeronautica.61 La forza di supporto a terra e di interdizione concepita da Mecozzi se la passò molto meglio, essendo assegnati in quegli stessi piani 129-165 velivoli, ovvero 16,9-13,75 della forza di caccia e 5,75-5,6 per cento della forza dell’Aeronautica.62 32 Probabilmente, l’indicazione più significativa della limitata accettazione del Douhet e del suo pensiero da parte dell’esercito italiano può essere trovata nel fatto che l’Aeronautica Militare italiana non ha mai raggiunto uno status o un ruolo lontanamente paragonabile ai servizi di alto livello. Durante la vita di Douhet – anzi, per tutta l’epoca del Balbo – il Ministero dell’Aeronautica mantenne in media circa un settimo della spesa militare italiana complessiva, la Marina due settimi e l’Esercito quattro.63 Ancora più esplicitamente, l’Esercito continuò a fornire il comandante supremo per tutto il Seconda Guerra Mondiale e Capo di Stato Maggiore della Difesa fino al 1972.

 

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